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STARTUP, LA GURU TIFFANY NORWOOD: “IN ITALIA C’È TERRENO FERTILE” L’evento “Startup tra old economy e telecomunicazioni” tenuto ieri nella Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati è stato un momento di confronto tra istituzioni e startupper italiani. Promosso da Fabio Pompei, consigliere del Municipio Roma XII, ha ospitato Tiffany Norwood, 48enne dal sorriso contagioso nota nel mondo hi tech come una delle più fertili menti in tema di imprese digitali e innovazione, attiva anche a sostegno dei giovani imprenditori, in Usa e non solo. Perché la maggior parte delle startup fallisce? «Negli Usa due idee su tremila vengono realizzate e meno dell’1% arriva al brevetto e al successo. Le cifre parlano chiaro ma non dicono tutto, perché quasi sempre manca un supporto, decisivo agli inizi, non solo in termini di competenze ma anche governative. L’America per esempio ha prestato vera attenzione agli imprenditori solo negli ultimi cinque anni». C’è una soluzione per evitare il fallimento? «Spesso è la visione degli startupper a essere sbagliata, si focalizzano sul prodotto e non sulle persone. L’innovazione inizia dall’immaginazione, dal credere di rendere reale quello che immaginiamo o sogniamo, ma per avere successo bisogna saper raccontare la propria idea, narrare una storia e connettersi con persone che come noi credono che sia possibile». In Italia il fallimento è un’etichetta negativa e l’approccio verso le startup è scettico. Come ribaltare lo scenario? «Io sono nata nel 1968 quando c’era ancora Martin Luther King e so bene cosa significa combattere, ho imparato sulla mia pelle che il cambiamento dipende da noi. L’Italia è piena di ragazzi talentuosi con grandi idee su cui bisogna puntare e sia le aziende che la politica lo hanno capito». L’evento “Startup tra old economy e telecomunicazioni” tenuto ieri nella Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati è stato un momento di confronto tra istituzioni e startupper italiani. Promosso da Fabio Pompei, consigliere del Municipio Roma XII, ha ospitato Tiffany Norwood, 48enne dal sorriso contagioso nota nel mondo hi tech come una delle più fertili menti in tema di imprese digitali e innovazione, attiva anche a sostegno dei giovani imprenditori, in Usa e non solo. Perché la maggior parte delle startup fallisce? «Negli Usa due idee su tremila vengono realizzate e meno dell’1% arriva al brevetto e al successo. Le cifre parlano chiaro ma non dicono tutto, perché quasi sempre manca un supporto, decisivo agli inizi, non solo in termini di competenze ma anche governative. L’America per esempio ha prestato vera attenzione agli imprenditori solo negli ultimi cinque anni». C’è una soluzione per evitare il fallimento? «Spesso è la visione degli startupper a essere sbagliata, si focalizzano sul prodotto e non sulle persone. L’innovazione inizia dall’immaginazione, dal credere di rendere reale quello che immaginiamo o sogniamo, ma per avere successo bisogna saper raccontare la propria idea, narrare una storia e connettersi con persone che come noi credono che sia possibile». In Italia il fallimento è un’etichetta negativa e l’approccio verso le startup è scettico. Come ribaltare lo scenario? «Io sono nata nel 1968 quando c’era ancora Martin Luther King e so bene cosa significa combattere, ho imparato sulla mia pelle che il cambiamento dipende da noi. L’Italia è piena di ragazzi talentuosi con grandi idee su cui bisogna puntare e sia le aziende che la politica lo hanno capito».

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