I farri antichi: quando il marketing contraddice la scienza

Con l'aggettivo "antico" non sempre si intende la stessa varietà di farro, tanto per cominciare. Anche se ci sono meno bufale in rete rispetto al caso dei "grani antichi", circola qualche stortura sul contenuto di glutine e sull'impiego di pesticidi per le coltivazioni

(foto: Getty Images)

Se il vostro agronomo di fiducia non sa bene come spiegarvi che cosa siano i cosiddetti farri antichi, ha perfettamente ragione. Espressione più commerciale che tecnica, questa fantomatica tipologia di cereale viene spesso esaltata per il suo valore tradizionale, culturale e nutritivo, con argomentazioni non sempre del tutto esatte dal punto di vista scientifico e storico. L'espressione sta entrando negli ultimi anni nel gergo dell'imprenditoria dolciaria e della panificazione, tanto che può capitare di trovare il farro antico tra gli ingredienti di biscotti, croissant, focacce, pasta secca e altri prodotti.

Da quanto abbiamo potuto constatare, di solito l'espressione "farri antichi" è usata in modo più sensato di quanto si faccia nel caso della macro-famiglia dei grani antichi, per i quali qui su Wired avevamo già raccolto una serie di bufale pubblicitarie un paio d'anni fa. Ci sono comunque alcuni punti che meritano di essere approfonditi, nel rispetto di chi svolge una ineccepibile comunicazione del prodotto e rischia di essere scorrettamente sovrastato dai claim promozionali ingannevoli altrui.

Cos'è un farro antico e quanto è davvero vecchio

Le evidenze storiche confermano che il farro è, tra i tipi di frumento coltivato, il più antico in assoluto, dunque l'accostamento delle parole farro e antico è quantomai sensato. Proprio da qui, però, sorge spontanea la domanda su che cosa distingua un farro senza alcuna specificazione aggiuntiva rispetto a una tipologia antica. Il riferimento, spesso non esplicitato, è al tipo di cultivar, dato che per il farro esistono tre specie principali: il *Triticum monococcum *(detto farro piccolo o monococco), il Triticum dicoccum (farro medio o dicocco) e il Triticum spelta (farro grande o spelta).

Tra queste esiste effettivamente una differenza dal punto di vista del periodo della domesticazione: il monococco fu il primo a essere coltivato già oltre 10 mila anni fa (più probabilmente tra 11mila e 12mila), seguito dal dicocco (poco meno di 10 mila anni fa) e infine dallo spelta, le cui prime coltivazioni si stima risalgano circa a 8mila anni fa. Pur esistendo una gerarchia cronologica, quindi, tutte le varietà potrebbero ragionevolmente essere definite antiche.

Di fatto però l'elemento a cui si vorrebbe fare riferimento è che mentre la varietà più diffusa e coltivata è il dicocco (banalmente indicato come farro, senza altre specificazioni), con l'aggettivo antico spesso di intende il monococco, leggermente più vecchio. Si tratta però di una regola non scritta che non sempre viene rispettata, poiché ci sono produttori che dichiarano apertamente di intendere con farro antico la tipologia spelta, ossia di fatto quella meno antica di tutte.

L'antico come "naturale", il moderno come "chimico"

Più che alla cultivar specifica, spesso la comunicazione dei farri antichi pare far riferimento soprattutto ai metodi di coltivazione e trattamento del cereale. In questo senso con antico si intende in pratica un processo agricolo privo dell'uso di pesticidi e fitofarmaci, una sorta di agricoltura biologica radicale, che coincide con il recupero dei processi della tradizione. Spesso si riassume questo concetto affermando che "i farri antichi non hanno bisogno di chimica".

Al di là del fatto che il riferimento alla chimica è privo di senso dal punto di vista scientifico (pure l'acqua è chimica, volendo essere pignoli), l'elemento da sottolineare è che di solito le scelte degli agricoltori sono dettate dalla necessità di aumentare la resa. Il farro dicocco, infatti, è il più diffuso proprio perché garantisce una migliore resa rispetto alle altre tipologie, ma in linea di principio qualunque varietà può essere coltivata con o senza trattamenti con agrofarmaci.

L'unica differenza significativa risiede nella resistenza intrinseca della pianta, nel senso che il farro monococco sopporta meglio il freddo e riesce a crescere anche in terreni poveri, dunque può essere la scelta più sensata su quelle aree dove è difficile applicare le tecniche dell'agricoltura intensiva, come quelle impervie o difficili da raggiungere. Oppure quando l'imprenditore agricolo decide di differenziarsi dal resto del mercato, proponendo un prodotto che risulta essere più caro rispetto alla concorrenza. Va però chiarito che in generale non è detto che un farro antico sia biologico, così come può esistere un farro biologico che non sia antico. Anche perché, come già scritto, la classificazione di antico non è affatto definita con precisione.

Niente farri antichi per i celiaci

Tra le varie proprietà nutrizionali che vengono spesso dichiarate come distintive dei farri antichi (più fibre ma meno calorie, buona digeribilità e un maggior apporto di vitamine A e B, potassio, magnesio, selenio e fosforo), ce n'è una che certamente non può essere citata: l'assenza di glutine. Il glutine infatti è presente in tutte le tipologie di farro, dunque questi cereali non sono in alcun caso adatti a chi soffre di celiachia. Nonostante sia vero che il farro determina un minor apporto di glutine rispetto ad altri cereali, ciò non lo rende adatto a chi ha forme di intolleranza. E l'affermazione secondo cui i farri antichi avrebbero "una forma di glutine meno irritante" non ha sufficienti evidenze scientifiche a supporto.

Per di più, in molti casi i prodotti contenenti farine di farri antichi hanno tra gli ingredienti pure altri cereali, ricchi di glutine e non di rado ottenuti con le tecniche dell'agricoltura intensiva.

Il farro antico non è il farro dell'Impero romano

Su questo punto si fa spesso un po' di confusione. Se è vero che il farro era il cereale più diffuso nell'antica Roma, tanto da essere all'origine della parola farina, il riferimento al farro antico come base dell'alimentazione dell'esercito imperiale è fuorviante. Già un paio di millenni fa, infatti, in Italia la specie nettamente più diffusa era il farro dicocco, la stessa che oggi mangiamo più spesso e che chiamiamo normalmente farro. Anche se allora il dicocco era coltivato con tecniche diverse da quelle odierne, i riferimenti al monococco e allo spelta come "i farri dell'Impero romano" sono inesatti.

Tradizione, cultura, diversità e innovazione

Il filone pubblicitario che valorizza i farri antichi sulla base della loro valenza storica e delle peculiarità culinarie è scientificamente inattaccabile. In termini culturali, di riscoperta delle tradizioni locali e del proporre qualcosa di diverso dal solito come sapori e ricette, i farri antichi meritano senza dubbio di essere valorizzati. Da questo punto di vista, possono essere fatti passare in secondo piano gli alti costi di lavorazione (specialmente per il monococco), la scarsa resa e le difficoltà di adattamento al clima italiano (soprattutto per lo spelta), che nei secoli hanno determinato il progressivo abbandono di queste varietà.

Non da ultimo, un aspetto interessante in chiave Wired è il valore che queste coltivazioni possono portare con sé dal punto di vista scientifico e tecnologico. Non solo per una questione di tutela della biodiversità, ma anche per le opportunità che oggi la tecnologia offre nel superare alcuni limiti intrinseci di questi cereali. A patto che la riscoperta delle tradizioni non significhi solo rifiutare gli aiuti tecnologici e le scoperte scientifiche, la riscoperta dei farri antichi può anche coincidere con un successo in termini di innovazione.