Preparate le candeline, digitali naturalmente, e gli auguri, online: il 12 marzo 2014 il web, la rete che usate ogni giorno per informarvi, innamorarvi, litigare con Renzi, Grillo o Berlusconi, fare shopping e lavorare – e spesso tutte le cose insieme dal telefonino - compie 25 anni.

Il 12 marzo del 1989 l’informatico inglese Tim Berners-Lee pubblica un saggio tecnico dal titolo gelido «Management dell’Informazione: una proposta» che diventa la base teorica della rete.

A Natale dell’anno dopo, il 1990, Berners-Lee rende pubblico, gratuitamente, il suo codice, ed è il regalo cui Papa Francesco rende grazie dicendo «Il web è un dono di Dio».

Già dal 1968 i militari americani del Pentagono, via il progetto Arpanet, studiavano pacchetti di informazioni da scambiare e preservare tra reti di computer, con la mente a un attacco atomico sovietico. Anche nel «Day After» della devastazione, i centri del potere, comandi strategici e laboratori potevano comunicare.

Berners-Lee, un quarto di secolo fa, ha una diversa intuizione e cambia le nostre vite. Come scrivono Susannah Fox e Lee Rainie del Pew Center Internet Project nel loro rapporto sui 25 anni del World Wide Web, per tanti di noi web e Internet sono sinonimi di una rete per mandare mail, leggere articoli, guardare video YouTube o ricercare negozi su Google. Il genio di Berners-Lee sta nell’avere permesso alla gente comune di ottenere i documenti da Internet, e comunicare con altri utenti ai loro computer. «Internet – spiegano Fox e Rainie - è fatta di “protocolli”, cioè regole che permettono ai network di computer di comunicare tra loro. Il web è invece un servizio che usa le reti per permettere ai computer di accedere a documenti e pagine conservate nei vari computer».

Immaginate la differenza tra strade, ponti e accessi ai grandi magazzini in una città. Berners-Lee, 25 anni fa, ci apre il mondo di saperi lontanissimi, da biblioteche bibliche alla ricette di uno chef vietnamita. Quando arrivano i motori di ricerca, la nostra ansia di comunicare conquista praterie. Non pensate alla raffinata serie di algoritmi che vi informa adesso via Google, il primo motore usato dal sito di questo giornale, nel 1999, era un progetto «open» dell’Università di Helsinki, avanguardia per allora, ma nel 2014, con i testi elencati senza filtro vi farebbe impazzire: «Garibaldi Corso a Milano… Garibaldi biscotti inglesi… Garibaldi Mario idraulico… Garibaldi Giuseppe patriota italiano...».

Se celebrate il 12 marzo i 25 anni del web - potrebbe essere eletto alla Camera dei Deputati, e del resto giusto ieri il Presidente Renzi ha abrogato l’inutile tassa sul web, annunciando il provvedimento con un tweet dal Consiglio dei Ministri! - non dimenticate però quanti pochi siano per un giudizio finale sulla nuova tecnologia. Il Novecento era composto nel mondo occidentale da tre generazioni, chi si ricordava quando aveva visto la prima automobile, chi il primo televisore, chi il primo computer.

I ragazzi nati nel 1989, dopo la Guerra Fredda, credono che il web sia parte «normale» della vita come l’acqua dal rubinetto e la luce delle lampadine. Calcola lo studio Pew che l’87% degli americani usi il web ogni giorno (circa due terzi degli italiani, ma superiamo la media americana con il 90%, tra i giovani). Nel 1995 solo 14 cittadini su 100 andavano online, e una frazione minuscola comunicava con primordiali modem, spesso collegati da accoppiatori acustici, tra fischi e borbottii, per trasmettere poche righe di testo o avere accesso ai «bullettin board», prime comunità di dialogo.

Negli Usa la stragrande maggioranza dei cittadini si dice disposta a rinunciare al telefono fisso, due su tre rinuncerebbero alla tv, ma il 46% ma non vive senza web. Il boom degli smartphone, che ci portano online ovunque, passa dal 35% del 2011 al 58 di oggi. La rapidità del cambiamento, dai libri agli e-book, dalla tv centralizzata di Mike Bongiorno e McLuhan alla tv digitale via web e Twitter, dall’università col docente ai corsi Mooc sul web, divide i teorici. Per pionieri informatici come Morozov e Lanier, lungi dall’essere «dono di Dio», il web è inferno di populismo, consumismo, idiozie, dove il marketing delle occhiute corporation finge di avere soluzioni per ogni problema, dalla fidanzata che non ci fila, alla disoccupazione cronica.

I dati Pew non concordano con il pessimismo dei guru, diffuso anche in Italia tra gli intellettuali. Per il 90% di chi va online «Internet è un gran bene per me», mentre il 76% è persuaso che sia «un bene anche per la società». Malgrado polemiche volgari online, insulti, troll e scemenze che Facebook e Twitter ci rovesciano addosso, solo il 6% dice «il web è un male», mentre un arguto 3% di saggi conclude: «Il web? Male e Bene insieme».

Analisti come Nicholas Carr, e riviste come The Atlantic, temono che in 25 anni la rete abbia diffuso tra noi «ignoranza» e «solitudine», lo studio Pew trova un umore diverso tra le persone, il 76% persuaso che la rete abbia migliorato rapporti umani e reti di conoscenza, solo 13% amareggiato da cattive esperienze digitali (le donne, purtroppo, maggioranza in questo gruppo per malignità subite in rete).

Insomma, paure tra i filosofi, ma la gente comune a soffiare felice sulle candeline per i 25 anni del «dono di Dio». Perché il web è uno specchio, tanti si riflettono con piacere e buon senso, i guru distolgono lo sguardo sdegnati da quel che vedono. Per migliorare i contenuti della rete non servono regole di protezionismo, censure, mano libera ai monopoli. Serve cambiare noi stessi, quel che in rete immettiamo. Solo così il 12 marzo 2039, mezzo secolo di web, vedrete online idee e sentimenti migliori.

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