Salute

Ammalarsi di solitudine

Individuati i meccanismi fisiologici attraverso cui l'isolamento sociale aumenta il rischio di malattie.

Può la solitudine essere una malattia che uccide? Sì, e non solo metaforicamente. I dati epidemiologici indicano con una certa chiarezza che la solitudine è associata a un maggior rischio di malattie croniche e anche di morte.

Uno studio appena uscito è riuscito a spiegare come l’isolamento sociale renda più vulnerabile il nostro corpo e lo conduca alla malattia. Le ricerche sono state svolte da un gruppo di scienziati statunitensi che da tempo studiano le possibili conseguenze della tristezza, della solitudine e in generale delle avversità sociali sulla salute delle persone. Già in precedenza avevano osservato che la percezione di essere isolati è associata a precisi cambiamenti a livello cellulare, in particolare nell’espressione di geni che hanno a che fare con il sistema immunitario.

ISOLATI E VULNERABILI. Secondo loro, esiste una precisa firma molecolare che si accompagna alla solitudine, costituita da un aumento dell’espressione dei geni collegati all’infiammazione e da una diminuzione di quelli coinvolti nella risposta immunitaria contro i virus, un meccanismo fisiologico costante chiamato “risposta trascrizionale conservata alle avversità”.

Da punto di vista evolutivo tutto questo ha un senso: l’individuo isolato e senza relazioni sociali vivrebbe in una sorta di allerta permanente, uno stato fisiologico utile a preparare una eventuale “fuga” in assenza di compagni che possano dare l’allarme, ma che diventa a lungo andare una condizione di stress per l’organismo. L’uomo, insomma, è come diceva Aristotele un animale sociale anche da un punto di vista fisiologico.

Sistema immunitario più debole. Nell’ultimo lavoro, pubblicato sulla rivista Pnas, in ricercatori hanno aggiunto altri dettagli a questo quadro. In particolare, hanno analizzato l’espressione dei geni nei leucociti (le cellule del sangue che rappresentano una delle principali linee di difesa del sistema immunitario) in un gruppo di 141 anziani che partecipavano a uno studio su salute e invecchiamento.

Il 26 per cento di loro, sulla base di questionari e di una scala, era stato classificato come ad alto isolamento sociale per vari anni. Proprio i soggetti che avevano avuto per molto tempo i punteggi più alti nella scala di solitudine erano anche quelli che manifestavano le maggiori alterazioni della risposta immunitaria. In particolare, era aumentata la produzione di monociti con alti livelli di espressione dei geni legati all’infiammazione e bassi livelli di quelli collegati alla risposta antivirale.

Meno difese contro le infezioni. I ricercatori hanno trovato lo stesso tipo di alterazioni del sistema immunitario anche in un gruppo di macachi sottoposti a una forma di stress sociale, vale a dire spostamenti di gabbia con nuovi compagni.

In più, hanno osservato che questa firma molecolare è davvero in grado di produrre conseguenze sulla salute: le scimmie isolate sono risultate meno in grado di combattere un’infezione.

30 novembre 2015 Chiara Palmerini
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