L'Apple Store al posto di un cinema non è un attentato alla cultura

La chiusura di uno spazio di fruizione culturale come l’Apollo di Milano è davvero un danno per il Cinema? No, le reazioni di questi giorni sono state un po' pavloviane, viziate da sentimenti conservatori che albergano ancora in certi angoli della Cultura italiana

La notizia è fresca e ancora velata da qualche “no comment” sui dettagli, trattandosi di un’operazione economica tra privati, ma il senso è chiaro: Milano avrà il suo primo Apple Store in città, oltre ai due già presenti nei centri commerciali dell’hinterland.

Il nuovo negozio di Apple sarà allestito in piazzetta Liberty, non lontano dal Duomo, occupando in gran parte gli spazi che attualmente appartengono al cinema Apollo, da un decennio uno dei luoghi d’elezione dei cinefili milanesi. La prospettiva di un negozio di una multinazionale al posto di un piccolo multisala per intenditori ha fatto scattare in modo istantaneo le reazioni di molti – primo fra tutti Lionello Cerri, uno dei proprietari del Cinema Apollo stesso, che ha dichiarato che “chiudere un presidio culturale di successo non è certo un passaggio indolore” – che hanno visto nell’operazione un attacco alla Cultura per cui valeva la pena indignarsi, scrivere petizioni, dichiararsi in lutto.

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Foto: Bart Sadowski/Getty Images[/caption]

Il celebre critico Paolo Mereghetti, sulle colonne del Corriere della Sera, commentando la notizia ha addirittura ipotizzato un futuro senza cinema in una Milano che perde (se mai lo ha realmente avuto) il suo ruolo di capitale morale d’Italia. Ma è davvero così? Cioè, la chiusura di un cinema in centro a Milano è un danno per la Cultura con la “c” maiuscola e un segnale inquietante per il futuro?

L’invasione dei centri aulici delle città italiane da parte di store di catene commerciali è un fenomeno noto da alcuni anni. I tradizionali negozi del centro sono stati sostituiti da grandi empori monomarca, principalmente catene di vestiario, grandi librerie possedute da singoli editori (in cui si vende di tutto) e fast food di ogni tipo. Non è un mistero che, come offerta commerciale, una sessione di shopping per le vie centrali di Londra, New York o Milano offra esperienze molto simili.

Il rischio è evidente ed è uno degli effetti collaterali negativi della globalizzazione: la perdita di autenticità dei luoghi, la spersonalizzazione dell’esperienza, più in generale una riduzione del carattere delle città. In questo contesto, la chiusura di un cinema per fare spazio a uno dei negozi-fotocopia per eccellenza può sembrare ad alcuni un atto particolarmente grave: la globalizzazione non si limita a far chiudere qualche boutique storica, ma addirittura soppianta un cinema con una programmazione di qualità.

Una valida ragione per far scattare la nostalgia di quel piccolo mondo antico in cui tutto questo non succedeva, nei cuori di chi si è asserragliato nel fortino della Cultura. La mia impressione è che la questione sia stata posta male e abbia generato sentimenti antimoderni in buona parte per colpa del fatto che in italiano la parola “cinema” significa sia “sala cinematografica”, sia la settima arte. Per quest’ultima d’ora in poi userò la maiuscola, così ci capiamo meglio. La chiusura di uno spazio di fruizione culturale come l’Apollo è davvero un danno per il Cinema? Cioè, con un cinema in meno i milanesi hanno meno accesso alla nobile arte del Cinema?

Negli anni Settanta – quando l’unico modo di accedere ai film era assistere a una proiezione in una sala o confidare nella scarsissima offerta televisiva – la risposta sarebbe stata sì, senza dubbio. Nel 2015 la cultura in tutte le sue forme non è mai stata così accessibile. Pensiamoci: in questo istante, mentre scrivo, ho a mia disposizione, senza muovermi da casa, milioni di libri e di brani musicali, decine di migliaia di film, documentari e di serie tv, sia a pagamento, sia gratis, sia in abbonamento, a prezzi molto più bassi rispetto all’epoca in cui la produzione, circolazione e fruizione della cultura erano puramente analogiche.

Quindi no, la Cultura non ne risente, se chiude una sala cinematografica in pieno centro. Anzi, la sua sostituzione con un Apple Store (cioè col negozio di un’azienda che vende hardware e software per la produzione e per il consumo di contenuti di ogni genere e che è contemporaneamente venditore online di musica, libri, video e software a livello globale) fa meno danni alla Cultura che l’arrivo dell’ennesima catena di vestiti. Poteva andare peggio, insomma.

L’impressione che ne traggo è che molte delle critiche all’arrivo dell’Apple Store a Milano siano state reazioni pavloviane, viziate dai sentimenti conservatori che albergano ancora in certi vezzi della Cultura italiana ostili all’innovazione e fan del profumo della carta. Le sale cinematografiche a Milano non mancano di certo, semplicemente stanno cedendo gli spazi in centro a favore di business più redditizi (giusto oggi il vicino cinema Odeon ha annunciato la sua chiusura temporanea: parte dei suoi spazi sarà venduta alla Rinascente e il suo numero di sale si ridurrà).

Il Cinema nelle sale non sta fallendo e non sta chiudendo per abbandono da parte degli spettatori, nonostante la concorrenza dell’home cinema sia sempre più pressante per quantità dell’offerta e qualità dell’esperienza di consumo domestica. Alla peggio, la passione per i film sul grande schermo richiederà agli spettatori di spostarsi un po’ più in periferia. Ma, a conti fatti, un milanese ha più film a sua disposizione nel 2015, con meno sale cinematografiche, rispetto al 1975, quando nella sola zona del Duomo i cinema erano più di dieci.