Milano, 9 giugno 2016 - 22:09

Aiuto, la scuola è finita! L’incubo dei corsi estivi: che fine ha fatto la noia?

Il parere dei pedagogisti: «Così costringiamo i nostri figli in una dimensione artificiosa. Bambini e ragazzi invece dovrebbero imparare a organizzare i propri spazi da soli»

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Mamma, è finita la scuola! E’ finita la scuola, ommamma! Mentre i nostri figli hanno festeggiato il taglio del traguardo precipitandosi fuori da scuola per correre nei più vicini giardinetti a tirarsi i gavettoni , noi genitori già da tempo abbiamo cominciato a lambiccarci il cervello su come uscire vivi dai tre-mesi-di-vacanze estive-tre previsti da quell’eccezione del calendario scolastico mondiale che è il calendario italiano. Le scuole riapriranno solo a metà settembre, fra il 12 e il 15 a seconda delle regioni. Che fare? Dove piazzare i bimbi per tutto questo periodo? E allora via con il valzer dei corsi estivi: dal nuoto al tennis, dalla capoeira al dodgeball (che poi altro non è che un’evoluzione della vecchia palla prigioniera). Per i più artistici (almeno nelle intenzioni dei genitori) ci sono i corsi di disegno e pittura: la prima settimana i bambini impareranno a dipingere à la façon di Chagall, nella seconda si sfogheranno con Pollock. I ragazzini delle medie invece potranno esercitarsi con l’arte del fumetto o la Street Art. Chi può spendere di più spedirà i ragazzi lontano dalla città in improbabili campus che promettono di rimettere i nostri figli troppo urbanizzati a contatto con la natura. Una volta si andava in montagna con il nonno alpino che ci tirava il collo su e giù per le Dolomiti e ci insegnava a riconoscere un porcino buono da un boletus satana (basta tagliarne un pezzetto e la carne diventa subito blu). Adesso si mandano i figli in alberghi tre stelle più che organizzano improbabili corsi di rafting e orienteering.

Il bimbo artificiale

«La condizione infantile, rispetto a 30 anni fa, è profondamente cambiata. Oggi si caratterizza per la sua artificiosità», spiega il pedagogista Daniele Novara, autore di manuali per genitori divenuti bestseller come Urlare non serve a nulla. L’epopea del cortile appartiene al passato: una volta imparavi ad andare in bici guardando i compagni di gioco più grandi, oggi i genitori pianificano un’estate di mal di schiena (loro) e pianti (dei bimbi) per riuscire finalmente a far cavalcare la tigre a due ruote ai propri figli. «La cosa più simile ai vecchi spazi di aggregazione sono i parchi giochi (che però nelle grandi città a luglio e agosto sono deserti, ndr) o a anche i centri estivi organizzati dalle cooperative nelle scuole, che in qualche modo sopperiscono ai vecchi oratori – continua Novara -. Diciamo che almeno quelli sono degli spazi simil-spontanei». Mentre riempire i bambini di attività facendogli fare corsi di ogni genere significa trasmettergli le ansie di noi adulti senza rispettare i loro tempi. «Ai bambini piace fare una cosa sola al giorno, non mille. E magari ripetere lo stesso gioco più e più volte perché attraverso quella ritualità diventano sempre più competenti e acquisiscono sicurezza».

A Brighton per imparare lo spagnolo

Anche le vecchie vacanze studio che ormai incominciano sempre prima (fin dalla prima media quando non dalle elementari) hanno cambiato pelle. Una volta ci spedivano a Brighton o in qualche altra città della Manica a imparare l’inglese e noi tornavamo sapendo lo spagnolo. Adesso i più accorti mandano i figli in Inghilterra subito dopo la chiusura delle scuole, perché lì invece le scuole restano aperte fino a luglio, in modo che i ragazzi possano assistere come uditori a delle lezioni vere, non a dei corsi posticci per stranieri. Così sono sicuri che torneranno sapendo l’inglese (peccato per lo spagnolo, però).

Il business della noia

«I corsi estivi? – rincara Raffaele Mantegazza docente di Pedagogia alla Bicocca di Milano – Ormai sono diventati un business. Ma così bambini e ragazzi non vivono più. Già stanno tutto l’anno con degli adulti che gli dicono cosa fare, finalmente chiude la scuola e noi li affidiamo di nuovo ad altri adulti? Ma l’estate dovrebbe essere il tempo dell’otium, del dolce far niente». Facile a dirsi, meno a farsi. Conosciamo il ritornello della cara e vecchia noia e noi stessi spesso, quando siamo arrabbiati, lo riproponiamo ai nostri ragazzi: «Non sai cosa fare? Annoiati». Ma la verità è che anche la noia va gestita, mentre a volte a casa non c’è proprio nessuno che possa vegliare a distanza su un sano pomeriggio fatto di niente. «Non voglio certo trascurare i problemi dei genitori che lavorano, ma possibile che nei grandi condomini di città non ci si possa organizzare fra genitori? Perché, invece di spedirli in giro, non si riesce a organizzare una rete di sostegno fra famiglie, chiedendo aiuto anche ai nonni, per far giocare i nostri bimbi insieme in modo spontaneo?», dice ancora Mantegazza. Così, invece di doverli spedire a perfezionare il dribbling in qualche campus estivo con tanto di fantomatico Mister potremmo lasciarli giocare nel parchetto sotto casa? A costo zero. Senza coltivare, noi per loro, il sogni di farne tanti piccoli Pelè. Ma lasciando loro il piacere del calcio che prima di tutto, almeno a quell’età, è un gioco.

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