La cultura del click NON è brutta e cattiva

Nelle scorse settimane la pubblicazione, da parte di Italia Oggi, dei dati di fatturato dei principali siti di news italiani solamente digitali ha dato il via a una discussione su cosa siano il giornalismo, i giornali e i giornalisti al tempo di internet.   ...

Nelle scorse settimane la pubblicazione, da parte di Italia Oggi, dei dati di fatturato dei principali siti di news italiani solamente digitali ha dato il via a una discussione su cosa siano il giornalismo, i giornali e i giornalisti al tempo di internet.

Ne ha parlato Marco Alfieri, (ex) direttore de Linkiesta, con un post (o articolo) molto interessante in cui ha raccontato la sua esperienza e dove si è sbagliato, ma nel quale ho fatto fatica a capire la sua ricetta di rilancio, investimenti a parte. Anche il direttore di Fanpage, Francesco Piccinini, ha scritto un pezzo: lo condivido praticamente tutto. E pure, qui su Wired, Vittorio Zambardino ha detto la sua dal punto di vista di uno che ha fondato quasi 20 anni fa il primo sito di news in Italia, Repubblica.it.

In rete, poi, ci sono stati molti commenti, come quelli di coloro che decretano la morte del giornalismo, che è alla continua caccia di click per aumentare il proprio traffico.

Ora, non voglio alimentare la discussione, un bel po' noiosa, sulla morte del giornalismo. Credo che sia vivo e vegeto, semplicemente (e banalmente) penso che si debba adattare a nuovi (?) mezzi, come il digitale e i social.

Quello che mi limito a registrare è una gran confusione. Da una parte si chiede, giustamente, a delle realtà imprenditoriali (come quelle che editano un giornale online) di avere i conti a posto (senza però sapere quali siano i piani e i tempi di rientro degli investimenti); e dall'altra, però, li si accusa (non tutti, ovviamente) di voler fare click a tutti i costi.

Per come la vedo io, i ricavi sono fondamentali, più dei click. Lo sono perché assicurano, tra l'altro, gli stipendi, i compensi per i collaboratori, gli sviluppi del prodotto, la produzione di nuovi contenuti (magari innovativi) e quindi anche un'informazione di qualità, dunque indipendente.

Oggi tutto questo discorso si regge sui click, determinanti per il fatturato di un giornale online. Il mercato attuale, nella quasi totalità dei casi, è “regolato” dal numero di pagine viste: più ne fai, più impression pubblicitarie produci, più soldi incassi. Certo, ci sono altre strade, come il native advertising, ma siamo all'inizio di questo percorso, percorribile soprattutto da realtà che nascono ora, prima che arrivino a grandi moli di traffico.

Per assicurare tante pagine viste al proprio traffico, è necessaria la produzione ANCHE di articoli leggeri che, con poca fatica da parte della redazione e un basso investimento (altrimenti i borderò schizzano in alto e i problemi passano dai fatturati ai margini), garantiscano l'obiettivo. Questo però non significa che questi contenuti debbano essere spazzatura o, nella peggiore delle ipotesi, delle balle. Il Post, per esempio, da anni fa un ottimo lavoro sulle gallery di immagini e non mi ricordo contenuti disgustosi.

Per questo difendo la cultura del click. Chiaramente bisogna intendersi. In nome di questa cultura non si deve fare un lavoro sciatto che porta alla pubblicazione di notizie false. Molti giornali nei giorni scorsi hanno pubblicato la notizia della signora che prendeva il Sole nuda alla finestra, causando tamponamenti. Era una bufala, non verificata.

Se però per cultura del click intendiamo la voglia di “vendere” di più il proprio prodotto, una voglia sulla quale costruire un business sano (senza bilanci drammatici e sovvenzioni varie), allora – secondo me – i giornali, e il loro futuro, passano solamente da qui.

Altrimenti poi non ci possiamo lamentare dei giornali di partito finanziati dallo Stato (che quindi non sono capaci di stare sul mercato) o, peggio, dei giornali senza un'idea imprenditoriale alle spalle e che vengono pubblicati solo per lisciare il pelo al potente di turno. Quella sì che è la morte del giornalismo.

Photocredit: Getty/Chaloner Woods