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sostituì il fondatore alla guida della casa editrice

Addio Cerati, geniale soldato Einaudi

Amico di Vittorini, era il virtuoso di vendite e ristampe

sostituì il fondatore alla guida della casa editrice

Addio Cerati, geniale soldato Einaudi

Amico di Vittorini, era il virtuoso di vendite e ristampe

Roberto Cerati a marzo aveva compiuto 90 anniRoberto Cerati a marzo aveva compiuto 90 anniEra un piccolo uomo straordinario, dal sorriso dolcissimo, Roberto Cerati. «L’uomo dai silenzi significativi», lo chiamava Giulio Einaudi. Cerati è morto ieri nella sua casa di via Pontaccio a Milano, per una malattia che l’ha tenuto immobile per qualche mese, lui che per decenni, da quando cominciò a fare lo strillone per il «Politecnico» in piazza Duomo, non riuscì a fermarsi. Aveva compiuto novant’anni in marzo, quando ancora faceva avanti e indietro tra Milano e Torino. Sentinella della sua Einaudi, guardiano della memoria di Giulio e del catalogo dello Struzzo, passava qualche giorno della settimana in casa editrice, dove per quasi mezzo secolo era stato direttore commerciale prima di diventarne il presidente, raccogliendo l’eredità del fondatore. Non prese mai casa a Torino, preferiva soggiornare in una modesta stanzetta fissa dell’Hotel Genio, di fianco alla Stazione di Porta Nuova. La sobrietà assoluta era il suo stile. Il suo cibo preferito era la verdura in pinzimonio e vestiva una specie di divisa con giacca e pantalone antracite, polo blu o nera: l’editore lo descriveva come un marinaio della Corazzata Potemkin. C’è una sola fotografia che lo ritrae con la cravatta. Fu scattata da Giovanna Borgese il giorno in cui, a Torino, fu consegnata la laurea ad honorem al vecchio Giulio e al suo amico Vittorio Foa.

Nacque a Cressa, in piena campagna novarese (già da piccolo era un gran camminatore, dovendo raggiungere a piedi la scuola a 25 chilometri da casa). Laureato in storia del teatro con Mario Apollonio alla Cattolica di Milano con una tesi su Pirandello, amico di Vittorini fin da studente, fu arruolato alla Causa editoriale quando capitò per caso nella sede einaudiana di viale Tunisia a Milano: «Tu cosa fai qui?», gli chiese l’editore dagli occhi più glaciali che si siano mai visti, «perché non vai a vendere libri?». Raccontava sempre, Cerati, la meraviglia nel vedere, quel giorno del settembre 1945, il pittore Ajmone e i grafici Max Huber e Albe Steiner sdraiati sul pavimento a mettere insieme le copertine. Roberto cominciò a vendere per corrispondenza, poi ebbe il controllo delle librerie lombarde, poi dell’intera Penisola. Viaggiava in treno in lungo e in largo, qualche volta senza il biglietto, qualche volta dormendo sul sedile, per andare a trovare i librai delle province d’Italia. Li conosceva tutti e tutti conoscevano Cerati. Anzi, lo adoravano. Perché Cerati, con la sua modestia e la sua sobrietà monacale, aveva un carisma ineguagliabile. E una sensibilità per il mercato (il suo mercato, non quello dei bestseller cercati a ogni costo) che gli faceva calibrare al millimetro le tirature dei singoli titoli e le ristampe. Era affascinato anche dalla politica attiva, quella del ribelle e contestatore, forse violando il suo temperamento timido e riservato. Non riuscì a resistere più un anno, però, in una comune torinese.

Tecnicamente era il re della ristampa. Cento, duecento, trecento copie, per non far morire il libro, anche quando si trattava di saggi specifici. Talento, ma anche esperienza. Dicono che nelle riunioni del mercoledì non aprisse bocca, lasciava parlare i consulenti, che si chiamavano Bobbio, Venturi, Mila, Cases, Natalia Ginzburg, poi Stajano, Segre, Magris, Carlo Ginzburg, Del Giudice... Stava in fondo alla sala riunioni di via Biancamano in silenzio, ma nulla gli sfuggiva. Poi, il lunedì, si trattava di tirare le somme operative con il «Politburo» interno, in compagnia dei fidi Oreste Molina dell’ufficio tecnico, del direttore generale Giulio Bollati, del caporedattore Daniele Ponchiroli, del segretario editoriale Davico Bonino (poi venne Ernesto Ferrero). Naturalmente non mancava il Divo Giulio. Solo allora Cerati diceva la sua, sempre dando del Lei all’editore (che gli dava del tu come a tutti), sempre contando le parole, sui prezzi, le tirature, le collane in cui sistemare i vari titoli (era un re anche della Collanologia, Roberto). Al suo vaglio sarebbero passate poi le copertine.
Non solo un tecnico: teneva rapporti con decine di autori. A lui si deve l’acquisizione dei grandi del teatro, da Eduardo a Dario Fo (suo amico, come lo fu, per una vita, Paolo Grassi). Con Giuliano Scabia è stato in contatto finché ha potuto scrivere i suoi mitici bigliettini a mano. Una grafia minutissima e ordinata. Aveva i suoi autori: fu lui a tenere a battesimo, nel ‘75, Il sovversivo di Corrado Stajano, fu lui a raccogliere le confidenze timide di Italo Calvino, frequentò fino all’ultimo Rigoni Stern e amava cenare a Biandrate con Sebastiano Vassalli. Anche in casa editrice, negli ultimi anni, aveva i «suoi»: il primo era l’editor dei classici Mauro Bersani, con il quale, il martedì, cenava al ristorante Solferino.

Con lui se ne va l’altra metà di Giulio Einaudi. Ne conosceva i dispetti e i capricci, diceva che riusciva a cogliere il pensiero dell’editore anche quando non parlava. Fu tra i pochi a vederlo piangere quando la senilità ancora non sollecitava la sua commozione. Non si sa chi dei due fosse il Gatto e chi la Volpe, forse ora l’uno, ora l’altro. «Il Verbo dell’Editore - ha scritto Ferrero - si esprime attraverso l’evangelista Cerati, che lo interpreta e lo trasmette ai fedeli». Negli ultimi anni frequentava la comunità di Bose. Ma il suo francescanesimo rimase votato al Libro, a cui dedicò i suoi anni, leggendo quasi tutto, a differenza dell’Editore, che preferiva limitarsi a fiutare le pagine. Certo che era difficile a Roberto riconoscersi in questa editoria «dopata» dalle classifiche, eppure non mollò un attimo nel proposito di difendere come l’ultimo, ma il più forte, dei soldati il catalogo storico della casa editrice. Ancora nei giorni scorsi ha dato un’occhiata ai bilanci, chiedeva che i dirigenti andassero a trovarlo per riferirgli il corso dei titoli e i programmi dei prossimi mesi. Negli ultimi mesi gli sono stati vicini familiari e amici fedelissimi, che gli leggevano i giornali e le pagine amate di letteratura. Tra questi, i fratelli Vittorio e Luciano, Gianandrea Piccioli e sua moglie Donella.
È stato sposato con la scrittrice e fotografa Carla, da cui ha avuto due figli, Elena e Federico, morto in un incidente in moto nel 2008. Ne aveva sofferto in maniera stoica la scomparsa e ogni domenica andava al cimitero a portare un fiore. Per sua richiesta, i funerali saranno in forma strettamente privata. L’editoria non conoscerà un altro Roberto Cerati. Un po’ perché è cambiata l’editoria, un po’ perché è difficile che nasca un altro soldato del libro così geniale, appassionato e fedele.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Paolo Di Stefano
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