Scuola, uno sponsor per finanziare il salto digitale

E-book sì, e-book no, e-book mmm. In un post (che condivido dalla prima all’ultima riga) sul suo blog sul Fatto Quotidiano Marinella Zetti ci racconta come, nei punti cardine della riforma della scuola anticipati dal ministro Stefania Giannini e in dirittura d’arrivo al consiglio dei ministri...

E-book sì, e-book no, e-book mmm. In un post (che condivido dalla prima all’ultima riga) sul suo blog sul Fatto Quotidiano Marinella Zetti ci racconta come, nei punti cardine della riforma della scuola anticipati dal ministro Stefania Giannini e in dirittura d’arrivo al consiglio dei ministri di venerdì prossimo, non si sia fatto alcun cenno ai libri elettronici.

Eppure dall’anno scolastico che inizierà a breve si dovrebbe cominciare a fare sul serio. O almeno a provarci: la circolare ministeriale recapitata lo scorso 9 aprile ai direttori generali degli Uffici scolastici regionali dice in sostanza ed estrema sintesi che i docenti possono preparare autonomamente materiali digitali “da utilizzare come libri di testo”. E, dal momento che è abolito il vincolo pluriennale di adozione, il ministero invita – per evitare che i costi delle famiglie s’impennino – a confermare i testi o, qualora debbano essere sostituiti, a farlo nelle versioni digitali o nelle (assai più timide) versioni miste.

Zetti, da sostenitrice dell’editoria digitale, esprime tuttavia alcune perplessità: sicuri che sarà così facile produrre testi digitali significativi fatti in casa? Strumenti e dispositivi: chi paga? E, soprattutto, che ne pensano gli studenti?

Tutti e tre punti condivisibili. Uno, in particolare, relativo allo stato delle nostre scuole e alle risorse: **dove e come verranno fruiti questi contenuti digitali? **È un assist imperdibile per recuperare un dibattito che – dall’intervento del ministro Giannini al Meeting riminese di CL – mi ha parecchio incuriosito: quello sugli sponsor.

La metto giù facile facile: qual è il problema se un grande gruppo, una piccola catena del territorio o anche un singolo cittadino o gruppo di cittadini appiccica un adesivo sui laptop o un pannello all’ingresso ed equipaggia di tutto punto i laboratori di un istituto o degli istituti di un territorio dei dispositivi che servono come l'aria? Dice: dovrebbe farlo lo Stato. Tanto lo Stato lo fa poco e male. Quindi?

Abbiamo fatto ristrutturare il Colosseo, il monumento più famoso del pianeta, a Diego Della Valle e sarebbe un caso se Apple, Samsung, Google, Microsoft o chiunque altro si accollasse – organicamente, su scala nazionale o regionale – una parte dell’inevitabile salto in avanti digitale che la scuola italiana deve fare per chiudere il gap col resto d'Europa?

Per me sponsor significa questo. D’altronde non è affatto una novità: avviene da anni, dal liceo Mamiani di Roma fino alle merendine delle scuole milanesi, la cronaca (quasi col taglio dello strano-ma-vero) ne ha riportati parecchi, di casi. Si tratta tuttavia di iniziative nella quasi totalità legate alle idee e alle trovate di singoli presidi. Senza impatto sul sistema dell'istruzione e alcun programma di ammodernamento futuro.

Perché non mettere in piedi, finalmente, una piattaforma per cui siano gli Uffici regionali o provinciali a valutare le necessità degli istituti del loro territorio, a parlare con gli sponsor interessati a programmi di un certo tipo e a distribuirne le risorse? Se poi si arrivasse alla **defiscalizzazione totale delle donazioni alle scuole **auspicata anche dall'ex ministro Maria Chiara Carrozza (ora è al 19%) il quadro sarebbe completo.

Discorso diverso se si pensa di assegnare ai capitali privati – che devono in qualche modo trovare una redditività – un ruolo sostitutivo rispetto ai sacrosanti e tardivi investimenti pubblici. È evidente che il privato potrebbe entrare nell’edilizia scolastica esclusivamente attraverso meccanismi di collaborazione, magari per dedicarsi solo a un certo tipo di interventi. In questo caso, insomma, non può esserci supplenza che tenga.