risorse umane

Il «work life balance» è una risorsa irrinunciabile: ecco perchè

di Gianni Rusconi

(AFP)

3' di lettura

«Il mondo delle risorse umane sta cambiando e in Italia la natura di questo cambiamento è in linea con quello di altri Paesi»: parole che sintetizzano il pensiero di Rodrigo Silveira, Country Manager di Gympass Italia, multinazionale brasiliana (presente in 13 Paesi con più di 25mila strutture in 4mila diverse città) attiva nel campo dei benefit legati al benessere aziendale. Coniugare in modo equilibrato l’impegno professionale e i bisogni personali dei propri dipendenti è una sfida che sta diventando sempre più importante per molte organizzazioni. I paladini del «work life balance» definiscono questo aspetto fondamentale non solo per migliorare la retention dei talenti, ma anche per aumentare il livello di engagement di chi lavora nell’organizzazione. E ci sono studi che dimostrano questa teoria.

Una ricerca realizzata su scala globale da Gympass e Xerox, per esempio, dice che nel 2016 il 69% delle aziende multinazionali del pianeta ha sostenuto una strategia globale per il benessere dei propri dipendenti. Nel 2008 questa percentuale era ferma al 36%. Dall’indagine emerge inoltre come il primo motivo che spinge le imprese a sviluppare programmi di “wellbeing” sia il miglioramento della produttività dei dipendenti (voce citata nel 59% nei casi) e il secondo sia l’obiettivo di aumentarne il coinvolgimento e l’impegno nei confronti dell’azienda (56%). Seguono la fidelizzazione (54%), la promozione di mission e valori aziendali (49%), la riduzione dei costi legati alla salute (45%) e un rafforzamento del branding (38%).

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Perché il «work life balance» va considerato parte integrante della value proposition aziendale?
Perché i dipendenti sono al centro delle decisioni strategiche dell’azienda. Stiamo assistendo alla maturazione di un concetto se vogliamo ancora più evoluto, quello del “life balance”: vengono cioè sempre meno le distinzioni fra lavoratore e persona e l’ingresso della generazione dei Millennials nelle organizzazioni sta velocizzando questo processo. L’equilibrio tra vita professionale e vita privata, non a caso, è una delle priorità dei giovani che entrano in azienda, e tutto questo genera un grande effetto di socializzazione.

Questo nuovo modello di pensare al dipendente vale per tutte le aziende e per tutti gli Hr manager?
Il cambiamento in atto, in generale, vale per tutti i responsabili delle risorse umane. Nelle organizzazioni più rigide il processo è meno rapido, in realtà come le startup è sicuramente più veloce ma non è una questione di dimensioni aziendali. Unilever, per esempio, è una multinazionale che opera in 150 Paesi ma ha sempre investito in progetti di «work life balance». All’interno del piano “FeelGood”, in particolare, la società ha adottato un programma di wellbeing pensato per migliorare il benessere psicofisico dei propri dipendenti delle nove sedi brasiliane della società e in più di 20 centri di distribuzione, coinvolgendo oltre 13mila lavoratori. Nei primi due anni di adozione del programma, i risultati registrati sono stati straordinari: il numero di persone che pratica esercizio fisico in maniera costante e continuativo è aumentato dal 23% al 64%, mentre il numero dei fumatori e delle persone a rischio di patologie cardiovascolari si è ridotto della metà.

Cosa sta accelerando, in generale, questo nuovo approccio al dipendente?
Diversi fattori, non ultimo il fatto che nelle posizioni di leadership oggi troviamo esponenti della categoria Millennials e delle Generazione Y, ed è naturale che la presenza di figure culturalmente più aperte al cambiamento facilitano in modo naturale questo processo.

C’è una ricetta “perfetta” per raggiungere l’equilibrio?
Il punto focale della questione è la fiducia nei dipendenti e nei collaboratori, nel fatto che questi soggetti possano raggiungere gli obiettivi prefissati mettendoli nella condizione di avere «tempo libero» da dedicare a sé stessi. Si riduce il controllo sui tempi e sulle modalità di svolgimento del lavoro e punta ad innalzare il livello di professionalità delle persone. È provato che un approccio di questo genere risultati.

In concreto cosa deve fare un’azienda, un Hr manager?
Ci sono diverse iniziative da poter intraprendere, ma il primo passo deve essere quello di credere a una cultura del benessere legata all'attività lavorativa e professionale.

Come si misurano i risultati di un progetto che punta al benessere dei dipendenti?
Nel nostro caso assicuriamo alle aziende una serie di reportistiche sul livello di utilizzo dei programmi welness e sportivi proposti e tutti i dati che raccogliamo vengono incrociati con altri dati solitamente gestiti dalla funzione Hr, per esempio i giorni di malattia. Il ritorno dell’investimento è nella possibilità di ridurre il numero di addetti a rischio di malattie cardiache e quindi il problema dell’assenteismo, di migliorare lo stato di salute dei dipendenti e di conseguenza aumentarne la produttività e il livello di coinvolgimento. A tutto beneficio dei risultati di business aziendali.

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