Nel giro di qualche mese, scopriremo se i vaccini per il Covid-19 attualmente in fase di preparazione sapranno garantire una completa immunità dal nuovo Coronavirus. Fino a quel momento, alcune delle principali incognite riguardano invece la risposta immunitaria di chi è stato colpito da questa malattia. Fino a oggi, una sola cosa è certa: in molti casi il nostro sistema immunitario ha effettivamente creato gli anticorpi al Coronavirus. Tutto il resto, però, è ancora in forse. Cerchiamo di fare chiarezza, appoggiandoci a una recente analisi della MIT Tech Review che ha a sua volta analizzato i più recenti studi disponibili.

È un’immunità completa?

Quando si parla di immunità creata dagli anticorpi, che sia generata tramite vaccino o meno, si pensa spesso a una protezione totale, come se l’immunità fosse una questione binaria: o c’è (ed è totale) oppure non c’è. Le cose non stanno così: per molte malattie infettive, la protezione fornita dal vaccino non è binaria, ma su una scala graduale.

Nel caso dell’influenza, per esempio, fare il vaccino non garantisce una totale protezione dal virus, ma impedisce all’infezione di diventare grave. Lo stesso avviene nei casi di Coronavirus: si dà per scontato che chi ha contratto la malattia sviluppi l’immunità totale da esso, ma è davvero così? Non è detto: uno studio (non ancora sottoposto a peer-review) ha per esempio scoperto che tra il 2 e l’8,5% dei pazienti colpiti da Coronavirus a Londra non ha sviluppato degli anticorpi individuabili.

Si tratta per lo più di pazienti giovani, che sono sopravvissuti all’infezione grazie alla risposta immunitaria effettuata tramite globuli bianchi e citochine, che attaccano e uccidono gli agenti patogeni del virus. Non si tratta quindi di pazienti che hanno sviluppato gli anticorpi, perché il loro fisico ha sconfitto il Covid-19 seguendo una strategia diversa. Cosa significa tutto ciò? Prima di tutto, come visto nel caso dell'influenza, che anche sviluppare anticorpi non garantisce una copertura completa; in secondo luogo, che non tutti coloro che hanno contratto la malattia ne sviluppano gli anticorpi.

Quanto dura l’immunità da Covid-19?

Questa è una domanda che purtroppo è ancora senza risposta (e non è neanche l’unica). Nonostante ci siano testimonianze di persone che avrebbero contratto il virus due volte, questi casi non sono stati studiati e analizzati dalla comunità scientifica. Si potrebbe trattare di pazienti la cui immunità è durata solo poche settimane, o di persone che non hanno sviluppato gli anticorpi.

“È invece ben documentato che le infezioni da altri Coronavirus conferiscono un’immunità soltanto temporanea, che in alcuni casi non dura più di qualche mese”, si legge sulla Tech Review. “Il Covid-19 potrebbe seguire lo stesso schema, ma è ancora troppo presto per dirlo”.

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Cosa rende l’immunità più forte o più debole?

In linea di massima, la protezione da una malattia infettiva è legata alla forza e alla durata della risposta immunitaria che si è verificata. Che a sua volta dipende dalla gravità dei sintomi avvertiti, che hanno quindi condotto il sistema immunitario a rispondere con minore o maggiore potenza. È probabile, quindi, che chi ha contratto una forma più seria di Covid-19 abbia sviluppato un’immunità più forte e duratura. Uno studio pubblicato su Nature Medicine mostra invece come i casi leggeri di Coronavirus o gli asintomatici abbiano maggiori probabilità di sviluppare dei livelli più bassi di anticorpi.

A prima vista, questo sembrerebbe indicare che chi ha sviluppato una forma leggera o asintomatica di Covid-19 potrebbe soffrirne di nuovo. Per il momento, questa è però solo una supposizione, soprattutto perché – come suggerisce un altro studio di Nature – anche dei bassi livelli di anticorpi potrebbero fornire una protezione adeguata.

E per quanto invece riguarda il vaccino?

Ancora non si sa se queste analisi avranno ripercussioni sulla produzione del vaccino. Se, in poche parole, il vaccino garantirà una copertura completa o parziale e quanto questa durerà. Per quanto riguarda il vaccino prodotto da AstraZeneca (e per il quale l’Italia ha sottoscritto un accordo), i macachi a cui è stato somministrato non hanno sviluppato polmoniti, ma semplici raffreddori. Il che potrebbe indicare una protezione dal virus ampia ma non totale.

Solo quando inizierà la fase tre della produzione dei vari vaccini – l’ultima prima della messa in commercio – ne sapremo di più, e capiremo meglio il rapporto tra sviluppo degli anticorpi e immunità. A quel punto, sapremo anche se l’esposizione al Covid-19 garantisce un’immunità forte e duratura. Se così non fosse, tutti dovranno vaccinarsi. Indipendentemente dal fatto che abbiano contratto o meno l’infezione da nuovo Coronavirus.



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Andrea Daniele Signorelli

Giornalista classe 1982, si occupa del rapporto tra nuove tecnologie, politica e società. Scrive per La Stampa, Wired, Domani, Esquire, Il Tascabile e altri. È autore di “Technosapiens: come l’essere umano si trasforma in macchina” (D Editore, 2021)