“Patrick ha chiesto di essere visitato da un medico legale per mettere agli atti le tracce della tortura subita”. A dirlo è l’avvocato dell’Eipr, Hoda Nasrallah, organizzazione con cui in passato Zaki ha collaborato.

Sono passati sette giorni dall’arresto dello studente egiziano al Cairo.

Amnesty International ha fornito ulteriori particolari sulla detenzione di Patrick, chiarendo che è stato torturato per 17 ore, anche con scariche elettriche. A confermarlo è uno dei suoi avvocati, Samuel Thabet, che ha dichiarato che è stato picchiato, spogliato e sottoposto a scosse elettriche sulla schiena e sulla pancia. Ed è stato anche abusato verbalmente e minacciato di stupro. Le parole dei genitori, che sottolineano quanto il figlio non sia mai stato fonte di minaccia o di pericolo per nessuno, anzi, costante fonte di sostegno e di aiuto per molte persone, sono evocative. Il pensiero va subito a Giulio.

“Gli hanno sequestrato tutto: documenti, occhiali, vestiti, passaporto, telefonino, laptop, tesserino universitario. L’hanno interrogato illegalmente e poi gli hanno chiesto anche dei suoi legami con la famiglia Regeni“. Sono parole che ci caricano di responsabilità, l’Italia e l’Europa non possono far finta di nulla davanti a quello che sta accadendo in Egitto. Chiedere con forza che venga fatta piena luce su ciò che è accaduto a Giulio Regeni è il modo per difendere i diritti di tutti i Giulio del mondo, come oggi lo è Patrick.

In quattro anni non siamo stati in grado di esercitare la pressione necessaria nei confronti dell’Egitto. Anzi, nei suoi confronti abbiamo rivendicato amicizia e stretto accordi economici, rendendoci deboli e poco autorevoli nella richiesta di verità e giustizia rispetto al drammatico assassinio di Giulio.

Non è più tempo di tentennamenti, di preoccuparsi di difendere piccoli interessi di parte. Oggi è tempo di posizioni chiare, nette, coraggiose. Chiedere ed ottenere che Patrick Zaki sia liberato e possa tornare in Italia per proseguire i suoi studi è compito del nostro Paese.

Sorvegliato dallo scorso marzo, sembra che la polizia egiziana avesse aperto un dossier su Patrick già diversi mesi prima del suo arrivo in Italia. E le ragioni dell’arresto ci paiono folli. Uno dei legali del ricercatore, Wael Ghaly, sottolinea come le accuse che gli hanno rivolto siano ancora più gravi di quelle per terrorismo: Patrick è infatti accusato di tentativo di rovesciamento del regime al potere, la cui la pena prevista dall’ordinamento egiziano è il carcere a vita.

È spaventoso osservare come l’Egitto possa disporre, e continui a farlo senza grandi ostacoli, della vita e della libertà di giovani la cui unica colpa sembra essere quella di difendere i Diritti Umani. Non possiamo abituarci e legittimare queste pratiche su studenti, come Patrick e come Giulio, che rappresentano la parte migliore delle nostre società, che vivono il mondo con curiosità, che credono profondamente nell’arricchimento comune e personale attraverso una quotidiana mescolanza culturale, e che soprattutto, evidenziano l’esigenza di riconoscere, in maniera trasversale, l’imprescindibilità dei Diritti Umani.

L’Italia e la Ue devono quindi esigere la difesa e il rispetto dei diritti di Patrick Zaki. Dal rispetto dei suoi diritti passa il rispetto dei nostri diritti. Dei diritti di ognuno e ognuna di noi.

Non lasciamo solo Patrick, non spegniamo la luce su questa vicenda. Ottenere la sua liberazione è il primo importante passo per il nostro Paese per ottenere anche verità e giustizia per Giulio Regeni.

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