La morte ci lascia spesso un sentimento di ingiustizia: è un taglio netto al futuro, alle speranze, a tutti quei "se solo", "avrebbe potuto" ,"chissà" che rimangono senza una risposta. Ma quando a morire è una persona giovane, piena di talento, di sogni e pronta a dedicare la sua vita a fare del bene, beh, il senso di ingiustizia si trasforma in un dolore sordo che fatica ad andarsene. È per questo che la morte prematura di Leila Janah ci fa così male. La famosa imprenditrice ci ha lasciati il 24 gennaio scorso a soli 37 anni a causa di un raro tumore dell'epitelio dopo una vita passata a combattere la povertà: possiamo solo domandarci con rammarico quanto ancora avrebbe potuto fare per il mondo.

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La storia di Leila Janah è di quelle che ispirano e fanno venire voglia di rimboccarsi le maniche e credere che un futuro migliore sia possibile (se lo vogliamo). Nata a Lewiston, vicino alle cascate del Niagara da genitori indiani immigrati negli Stati Uniti, Leila cresce in California tra difficoltà economiche e mille lavoretti per arrivare fine mese. La situazione finanziaria familiare, però, non le impedisce di concentrarsi su chi ha meno di lei e mentre frequenta la California Academy of Mathematics and Science di Los Angeles ottiene una borsa di studio per insegnare inglese in un istituto di bambini non vedenti in Ghana. Quella esperienza le cambia la vita: "Non avevo mai sperimentato nulla di simile alla povertà che ho visto lì", ha detto in un'intervista a Hearts on Fire, un'organizzazione dedicata al cambiamento sociale, "Mi ha aiutata a capire come la povertà opprima le persone". Da quel momento inizia a prendere forma il suo progetto: aiutare le persone indigenti a uscire dalla povertà, non tramite aiuti materiali, ma dando loro un lavoro. Dopo la laurea ad Harvard lavora in una società di consulenza di New York e poi alla Banca Mondiale, ma nel giro di qualche anno - quasi sapesse di avere poco tempo - si mette all'opera.

La prima compagnia fondata da Janah è la Samasource ("sama" in sanscrito significa uguale) che impiega lavoratori a basso reddito nei Paesi in via di sviluppo per svolgere attività tecnologiche: il suo modello di social business aiuta oltre 50.000 persone a uscire dalla povertà. "La più grande ragione del successo nell'imprenditoria non è l'intelligenza", spiega in un'intervista nel 2017, "Non è nemmeno il genio creativo. È la semplice capacità di non arrenderti quando le cose vanno davvero male". E Leila continua nel suo progetto credendoci fino in fondo: crea un programma di training per persone in stato di indigenza oltre a un sistema di crowdfunding per progetti medici a favore di donne e bambini in difficoltà. Nel 2015, poi, fonda un'altra società, la LXMI, che produce cosmetici e prodotti per la pelle di lusso, impiegando migliaia di persone in Uganda, Benin e India. Sono soprattutto donne in condizioni di emarginazione e vengono pagate tre volte il salario medio locale. "Credo che la più grande sfida dei prossimi 50 anni", scrive nel suo libro Give Work, "sarà quella di creare un lavoro dignitoso per tutti... non attraverso distribuzioni di beni e beneficenza, ma attraverso il mercato del lavoro". Purtroppo la malattia ha impedito a Leila Janah di continuare a battersi per questo sogno, ma i dati preoccupanti sulla distribuzione della ricchezza mondiale mostrano che il suo approccio è più che mai necessario per veicolare concretamente un cambiamento positivo.

"Non sottovalutate mai l'effetto a catena di ciò che fate. Questo tipo di azioni hanno rovesciato degli imperi" ha detto Leila durante un TedTalk nel 2018 e siamo sicure che valga anche (e a maggior ragione) per lei: in questi 37 anni ci ha mostrato cosa voglia dire impegnarsi con determinazione e positività per un mondo migliore. I suoi progetti vivranno dopo di lei, così come la forza del suo grande esempio.

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