Cosa dice il nuovo rapporto dell’ISS sul coronavirus in Italia

L'epidemia sta rallentando, e il contagio sembra diffondersi soprattutto nelle residenze per anziani e nelle famiglie

Milano, Italia (ANSA/Mourad Balti Touati)
Milano, Italia (ANSA/Mourad Balti Touati)

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha presentato oggi in una conferenza stampa i risultati della sua ultima indagine epidemiologica sulla COVID-19, mostrando alcuni nuovi dati sulla diffusione del contagio in Italia. Il tasso di letalità della malattia è del 13,1 per cento, quindi la percentuale di persone malate che muore in Italia a causa del coronavirus è ancora piuttosto alta se confrontata con quella di altri paesi.

La trasmissibilità della malattia in compenso sembra essere diminuita in buona parte del paese, e questo dovrebbe riflettersi in un rallentamento dei nuovi contagi nelle prossime settimane, anche se è difficile prevedere se questo potrà essere mantenuto a livelli soddisfacenti con l’attenuazione delle misure restrittive dal 4 maggio.

Letalità
L’ISS calcola il tasso di letalità sulla base dei casi diagnosticati dai laboratori (tramite l’analisi dei tamponi) e del numero dei morti segnalati. L’analisi più recente comprende i dati fino al 23 aprile e indica quindi 177.143 casi positivi rilevati e 23.188 decessi. Il 13,1 per cento è un dato totale, che comprende quindi sia l’alta letalità tra le persone più anziane sia il tasso inferiore dei più giovani, come si vede dalla tabella realizzata dall’ISS. (Il set di dati è diverso da quello quotidianamente diffuso dalla Protezione Civile.)

La COVID-19 si rivela letale soprattutto per le persone tra gli 80 e gli 89 anni con un tasso di letalità del 30,8 per cento, seguito dal 26,1 per cento dei più anziani di 90 anni e dal 24,9 per cento di chi ha un’età compresa tra 70 e 79 anni. Nelle ultime settimane si è assistito a un aumento dei casi positivi tra le donne, ma la prevalenza dei decessi riguarda comunque gli uomini. Per i soggetti di sesso femminile il dato totale è del 9,3 per cento contro il 17,1 per cento per quelli di sesso maschile.

Come aveva già fatto in precedenza, l’ISS ha spiegato che il dato della letalità è fortemente condizionato dall’alto numero di casi tra persone anziane e spesso con malattie preesistenti. Per molto tempo, inoltre, i test diagnostici sono stati eseguiti quasi esclusivamente su persone con sintomi ormai evidenti (soprattutto in Lombardia) e questo fa sì che ci sia una preponderanza di casi gravi tra quelli che vengono censiti. Questo influisce sul calcolo della letalità, perché è più probabile che un caso grave porti al decesso della persona malata.

Luoghi di esposizione
Per il suo nuovo rapporto, l’ISS ha anche provato a fare una prima stima (molto approssimativa) dei luoghi di maggiore esposizione, cioè dei posti dove si è registrato un rischio più alto di rimanere contagiati. Il risultato è ampiamente preliminare e per ora basato su 4.508 casi su 58.803 diagnosticati dall’inizio di aprile, quindi va preso con molte cautele (anche per i motivi che abbiamo visto prima sulle modalità con cui vengono o meno effettuati i tamponi).

Il principale luogo di esposizione sono risultate le strutture di assistenza come le case di riposo, le comunità per disabili e le RSA (residenze sanitarie assistenziali) con il 44,2 per cento dei casi. L’ambito familiare è al secondo posto con il 24,7 per cento dei casi, e deriva per lo più dal fatto che quasi sempre le persone infette convivono con gli altri membri della famiglia, facendo aumentare il rischio di contagio nonostante si assumano precauzioni. Al terzo posto sono risultati gli ospedali e gli ambulatori con il 10,8 per cento, seguiti dagli ambienti lavorativi con il 4,2 per cento.

L’ISS ha chiarito che l’analisi è da perfezionare e che sarà possibile farlo solamente dopo una raccolta sistematica sui luoghi dell’esposizione, non sempre semplice da effettuare.

Operatori sanitari
Tra gli operatori sanitari sono stati diagnosticati 19.665 casi positivi, pari all’11 per cento circa del totale dei casi positivi segnalati finora. La letalità tra gli operatori è dello 0,40 per cento, quindi estremamente più bassa rispetto al dato globale, e questo dipende dal fatto che la maggior parte del personale sanitario ha un’età inferiore ai 60 anni.

Diffusione
La maggior parte dei casi positivi rilevati continua a concentrarsi nel nord Italia, e in particolare in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto. Se si valuta il numero di casi per 100mila abitanti si nota una incidenza piuttosto elevata anche in province che in termini assoluti sembrano avere pochi casi. È per esempio il caso della Valle d’Aosta, che ha valori simili a quelli riportati da Lombardia ed Emilia-Romagna.

R0
Nel corso della conferenza stampa sono stati presentati anche nuovi dati sulla trasmissibilità del coronavirus in Italia, raccolti e analizzati con la collaborazione della Fondazione Bruno Kessler (Trento). L’analisi si è concentrata soprattutto sul numero di riproduzione di base (R0), cioè il numero medio di nuovi contagi che genera una persona infetta, in una popolazione che è totalmente suscettibile a un virus (come avviene con una nuova malattia). Se R0 è inferiore a 1, significa che ogni infetto contagia in media meno di una persona e quindi la diffusione dell’epidemia tende a rallentare.

Secondo lo studio, il numero di riproduzione di base è ormai inferiore a 1 in buona parte delle regioni italiane, anche se non ci sono dati sufficienti per alcuni territori per fare una stima affidabile. Anche nelle regioni che registrano più casi il dato è ampiamente sotto 1, come nel caso della Lombardia (0,4) e del Veneto (0,6). Le stime sono riferite al 6 aprile scorso, e questo spiega in parte le differenze rispetto ai dati che vengono quotidianamente diffusi dalla Protezione Civile. È bene inoltre ricordare che i dati giornalieri non si riferiscono esclusivamente a quanto avvenuto nelle 24 ore precedenti: spesso comprendono informazioni su tamponi svolti molti giorni prima.

Riaperture
Sulla base dell’andamento dei contagi e della trasmissibilità della COVID-19, il presidente dell’ISS, Silvio Brusaferro, e il direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto, Giovanni Rezza, hanno detto che si stanno creando le condizioni per avviare l’attenuazione delle restrizioni, a patto che si proceda con molta cautela e gradualità.

Ricordando che all’ISS spetta il compito di fornire pareri tecnici e scientifici al governo, che poi assume le decisioni politiche, Rezza ha spiegato che l’allentamento non potrà riguardare il distanziamento sociale che dovrà essere mantenuto “se non rafforzato”, per controbilanciare la maggiore circolazione di persone che torneranno al lavoro, useranno i trasporti pubblici e torneranno a fare acquisti nei negozi di beni non essenziali (una volta riaperti). Si dovranno quindi evitare assembramenti e tutte le attività che li possano determinare, una condizione con cui dovremo convivere a lungo.

Brusaferro ha spiegato che le restrizioni applicate finora hanno funzionato e che hanno permesso di “ridurre la curva”, dopo una prima fase di emergenza, consentendo agli ospedali di gestire meglio i pazienti con COVID-19. Nel frattempo molte regioni si sono attrezzate per ampliare o costruire nuovi reparti di terapia intensiva, raggiungendo una maggiore capacità. Ora questi reparti sono sotto minori stress e potrebbero accogliere un numero più alto di pazienti, nel caso in cui le riaperture determinassero un aumento dei casi, senza mettere in difficoltà il sistema sanitario come avvenuto a marzo.

Gli esperti dell’ISS hanno comunque ricordato che nella fase delle riaperture sarà essenziale potenziare ancora di più i sistemi diagnostici, a cominciare da quelli per rilevare i casi positivi tramite i tamponi. L’ISS ha consigliato per settimane di aumentare il numero dei test, come indicato dalle principali istituzioni sanitarie internazionali, e dopo alcuni ritardi si è ora raggiunto un ritmo di circa 60mila tamponi al giorno. L’Istituto consiglia inoltre di migliorare il sistema per tracciare i contatti che hanno avuto le persone risultate positive, nelle precedenti 48 ore. Un migliore tracciamento consentirebbe di fare diagnosi precoci, isolare i positivi, ridurre il rischio di nuovi contagi e tenere meglio sotto controllo le condizioni di salute degli infetti, riducendo in ultima istanza il numero dei decessi.