La storia della linguaccia dei Rolling Stones

In cinquant'anni è diventata il simbolo non solo della band ma di un intero genere musicale, senza che il suo giovane autore ne abbia guadagnato molto

(Photo by Cancan ChuGetty Images)
(Photo by Cancan ChuGetty Images)

Nei primi mesi del 1970 un rappresentante dei Rolling Stones contattò il Royal College of Art di Londra per chiedere che scegliesse uno studente a cui affidare la realizzazione della locandina del tour europeo che la band avrebbe fatto quell’anno. I Rolling Stones avevano già fatto cinque dischi di grande successo. Lo studente raccomandato dalla scuola si chiamava John Pasche e aveva 24 anni. Fece una prima proposta che fu scartata e poi ne fece una seconda che evidentemente piacque molto, tanto che Pasche fu ricontattato per un secondo lavoro da Jo Bergman, assistente personale della band.

Quel secondo lavoro sarebbe diventato famosissimo in tutto il mondo.

Bergman chiese a Pasche di realizzare un logo o un simbolo che potesse essere usato sulla carta da lettere e sulla cartella stampa dei Rolling Stones: un’immagine semplice ma che funzionasse da sola, come la conchiglia della benzina Shell. Mick Jagger, il frontman della band, invitò Pasche a casa sua e gli mostrò un’immagine su cui era rappresentata la dea Kali, una divinità hindu. Ai tempi l’estetica tipica delle rappresentazioni tradizionali indiane era abbastanza di moda in Inghilterra, ma Pasche – come racconta lui stesso in un’intervista che si può vedere sul sito del Victoria and Albert Museum di Londra – fu attratto soprattutto dalla lunga lingua che usciva dalla bocca della dea.

Pasche impiegò due settimane alla realizzazione del logo: disse che dopo aver avuto l’idea si trattò solo di trovare il modo più semplice di rappresentarla in modo che fosse più facile possibile da riprodurre. Il logo piacque immediatamente a Jagger e agli altri componenti della band e il lavoro gli fu pagato 50 sterline, come da accordi. L’opera originale era in bianco e nero; solo in un secondo momento, quando si passò alla stampa, il grigio divenne rosso. La linguaccia di Pasche fece la sua prima comparsa pubblica nel 1971, quando uscì l’album Sticky Fingers: il logo era sul retro della copertina, sull’etichetta e in un inserto.

Da quel momento il logo di Pasche fu utilizzato su ogni disco della band e in alcuni casi, come nella copertina del singolo “She’s so cold”, anche riadattato. Il disegno – diventato famosissimo e iconico in tutto il mondo – è noto anche come “The tongue and lip design” o “The hot lips”, e negli ultimi cinquant’anni è diventato una sorta di simbolo del rock and roll.

Intervistato di recente dal New York Times, Pasche ha detto che il suo disegno voleva essere un simbolo di protesta: il fatto che il gesto dei ragazzini che mostrano la lingua fosse universale fu la principale ragione per cui pensò che avrebbe funzionato. Pasche ha anche detto che nonostante quanto si creda, le labbra che disegnò non erano ispirate alle labbra di Mick Jagger, almeno non consapevolmente.

Il logo che conosciamo oggi comunque è lievemente diverso da quello originale di Pasche. In quei mesi infatti, negli Stati Uniti, Craig Braun stava lavorando insieme a Andy Warhol alla copertina di Sticky Fingers. Il logo con la linguaccia fu mandato via fax dall’ufficio inglese a Braun, che lo ricevette talmente sgranato che non poté fare a meno di ridisegnarlo da capo. Aggiunse alcune linee e contorni che nella versione di Pasche non c’erano, ma che da quel momento rimasero.

Il fatto che Andy Warhol — allora già molto famoso — avesse curato la copertina del disco portò molti a pensare che anche il logo fosse opera sua. Blake Gopnik, autore della biografia Warhol: A Life as Art, ha detto al New York Times: «Warhol era come una gigantesca calamita culturale: ogni cosa gli si attaccava. E lui non faceva nessuno sforzo per chiarire le cose. Preferiva la confusione alla chiarezza e l’idea che quel logo venisse attribuito a lui era una cosa che avrebbe potuto certamente incoraggiare».

Oltre alle 50 sterline iniziali, Pasche ricevette 200 sterline di bonus finché nel 1976 non cominciò a ricevere anche il 10 per cento delle vendite di tutto il merchandising che conteneva la stampa del logo. Nei sei anni successivi Pasche ha detto di aver ricevuto qualche migliaio di sterline, e poi di aver venduto definitivamente il copyright ai Rolling Stones per 26mila sterline. Non aveva molte alternative: i Rolling Stones avevano le leggi sul copyright dalla loro parte e sarebbe stato troppo rischioso per Pasche rivendicare i diritti sul logo che aveva disegnato, andando incontro probabilmente a una lunga causa.

Il palco visto dall’alto della performance dei Rolling Stones al Super Bowl XL del 2006 (Photo by Al Messerschmidt/Getty Images)

Pasche ha detto al New York Times che se fosse andata diversamente oggi forse vivrebbe in un castello. Secondo Samuel O’Toole, un avvocato londinese esperto di proprietà intellettuale, il valore del logo oggi ammonta a centinaia di milioni di sterline.

Il disegno originale di Pasche è conservato al Victoria and Albert Museum di Londra dal 2008, quando Victoria Broackes lo comprò per conto del museo da una casa d’aste di Chicago. Broackes ha detto New York Times che la cosa più straordinaria è proprio il fatto che il disegno originale esista ancora fisicamente. «Nonostante le basse aspettative», ha detto Broackes, «raccoglie tutto dei Rolling Stones: l’anti-autoritarismo, il menefreghismo e ovviamente anche la sensualità». Un altro motivo del successo del logo, secondo Broackes, è la sua adattabilità: può essere messo in piccolo su un 45 giri o diventare il set di un enorme palcoscenico.