Cronaca

Coronavirus isolato in Italia allo Spallanzani: "Collaborazione e un pizzico di fantasia. Così ci siamo riusciti"

Maria Capobianchi, direttore del Laboratorio di Virologia dello Spallanzani 
Il racconto di Maria Capobianchi, direttore del Laboratorio di Virologia dello Spallanzani: "Ha vinto tutto lo staff, abbiamo fatto dell'esperienza sul campo la nostra forza"
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"Quando nella prima settimana di gennaio è arrivata la notizia che si stava diffondendo in Cina una infezione respiratoria non identificata e poi è scoppiata l'epidemia, le autorità cinesi hanno annunciato di aver scoperto che la causa era un nuovo virus. Di questo virus avevano già ottenuto l'isolamento e la sequenza dell'intero genoma, in tempi rapidissimi, rendendola pubblica a tutta la comunità scientifica. Allora noi ci siamo mossi subito. Ci siamo riuniti intorno a un tavolo e abbiamo pensato: ci vuole una diagnostica molecolare. Ci siamo messi a lavorare e lo abbiamo fatto". La dottoressa Maria Rosaria Capobianchi, direttore del Laboratorio di Virologia dello Spallanzani racconta i giorni concitati, stressanti ed entusiasmanti della ricerca sul coronavirus e parla del suo laboratorio come fosse una costellazione, un cielo dove non brilla mai una sola stella. "Solo chi ci sta dentro lo sa...", dice.

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Chi ha lavorato con lei per ottenere questo enorme risultato? 
"Il laboratorio è un mondo, posso dire che il gruppo iniziale che ha cominciato a lavorare alla messa a punto della diagnosi era capitanato da Eleonora Lalle, responsabile della Diagnostica delle infezioni virali respiratorie in laboratorio, con Concetta Castilletti, responsabile della Unità dei virus emergenti e Fabrizio Carletti, esperto nel disegno dei nuovi test molecolari. E Antonino Di Caro che si occupa dei collegamenti sanitari internazionali. Siamo stati tra i primi al mondo a isolare il virus e lo metteremo a disposizione di chi vorrà lavorarci. La Cina lo ha isolato per prima ma non lo ha distribuito".
Com'è cominciata quest'avventura scientifica?
"Con un'organizzazione ferrea. Abbiano scelto le regioni del genoma virale, ovvero i frammenti del genoma sui quali lavorare. Quello che ci dicevamo era: 'seguiamo l'esperienza che abbiamo maturato fino ad ora su tutte le infezioni emergenti per le quali ci siano inventati da capo tutta la diagnostica'. Nel giro di pochi giorni eravamo operativi. Quasi contemporaneamente l'Oms ha reso pubblico il protocollo fatto dai tedeschi, noi lo abbiamo adottato e reso operativo".

Come girava la macchina sanitaria intorno a voi?
"All'unisono. Abbiamo cominciato a ricevere chiamate dai Centri di sanità pubblica di tutta Italia con cui abbiamo condiviso le informazioni. Ci siamo messi a disposizione per eseguire noi i test fino a che i laboratori di riferimento delle varie Regioni non avessero raggiunto l'autonomia nel fare i test sui prelievi fatti sulle persone potenzialmente contagiate".

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Ma lo Spallanzani ha lavorato in totale autonomia?
"Assolutamente no. Ci siamo coordinati con il Laboratorio di riferimento nazionale per l'influenza dell'Istituto Superiore di Sanità. Solo questo laboratorio ha il compito istituzionale di confermare la diagnosi finale".

E quindi?
"Sono arrivati i due pazienti potenzialmente contagiati. Quando abbiamo fatto la diagnosi abbiamo inviato i campioni per la conferma all'Istituto di Sanità. E contemporaneamente abbiamo messo il virus in coltura per l'isolamento e sequenziato un pezzetto del suo genoma".

E che cosa è successo?
"Che a questo punto eravamo sicuri della diagnosi e abbiamo anche osservato che il virus che cresceva in coltura. Questo ci ha entusiasmati moltissimo perché siamo tra i primi al mondo, tra i primi 4 o 5, che hanno ottenuto l'isolamento del virus".

Quando si ha il nuovo virus quali sono i benefici immediati?
"Ci dà la possibilità di studiarlo, quindi di capire i meccanismi della malattia e ci permette di valutare l'efficacia dei farmaci sperimentali. Di fare cioè i primi passi verso l'identificazione dei famarci e ci permette di affinare le tecniche diagnostiche".

Per esempio?
"I test per la ricerca degli anticorpi visto che a oggi non vi sono metodi che lo combattono e ci permette di allestire uno standard internazionale".

Il laboratorio nel quale lavorate ogni giorno ha dovuto subire cambiamenti per affrontare questo grande sprint?
"Appena sono cominciati ad arrivare i primi campioni dai primi casi sospetti, ci siamo resi conto che dovevamo modificare l'organizzazione perché da una parte c'era il bisogno di dare risposte rapide e affidabili, ma anche di affrontare le grandi aspettative da parte dei medici e della sanità pubblica. Perché la sanità, in base a quello che trovavamo, avrebbe adottato le necessarie misure per il cordone sanitario pubblico. E dall'altra il laboratorio ha un'attività quotidiana che non può essere fermata. Grande stress, una nuova organizzazione H24 e tanta collaborazione. Senza farci mancare un pizzico di fantasia".

E lo staff cosa ha provato?
"Tensione e attenzione al massimo. Ma vedere questa enorme collaborazione dà fiducia sul contributo dei laboratorio. Questo ci ha premiato. Sacrifici ben ripagati dai risultati e dall'apprezzamento che abbiamo ricevuto".