Una flotta di minisatelliti in grado di supportare le attività militari statunitensi in giro per il mondo. Sciami di piccoli dispositivi in grado di rimpiazzare i grandi e numerosi satelliti attualmente utilizzati dalle diverse articolazioni della difesa a stelle e strisce, che sono però ghiotti bersagli per le future battaglie stellari.

Questo è il cuore del cosiddetto progetto Blackjack. Viaggia accoppiato a un altro, battezzato Pit Boss. Ed è forse quello più ambizioso: sviluppare un sistema autonomo di gestione di quei gruppi di nanosatelliti che tenga “in ordine” la costellazione e nello stesso tempo garantisca la produzione e la trasmissione dei dati ai comandi sul campo. Tutto senza alcuna interazione umana. Se non, ovviamente, in termini di controllo e manutenzione straordinarie.

february 26, 2014   a set of nanoracks cubesats after deployment by the nanoracks launcher attached to the end of the japanese robotic arm the cubesats program contains a variety of experiments such as earth observations and advanced electronics testing international space station solar array panels are at left earths horizon and the blackness of space provide the backdrop for the scene cubesats are a class of research spacecraft called nanosatellites and have small, standardized sizes to reduce costspinterest
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Satelliti poco costosi, che lavorano in sinergia – ciascuno con attrezzature specifiche per compiti differenti – in grado di coprire intere regioni, se non tutto il pianeta. E di comunicare fra loro, oltre che con i centri di controllo e raccolta dei dati a terra. Per passarsi le informazioni fino al più vicino, tagliare i tempi di trasmissione e soprattutto mantenere il network operativo se uno dei dispositivi dovesse danneggiarsi o accusare dei malfunzionamenti. Di certo una visione di prospettiva affascinante, al netto degli usi di quelle informazioni, spesso nei teatri di guerra.

Vi ricorda qualcosa? Sì, esatto. Proprio Starlink, un piano molto simile messo in campo ormai da anni da SpaceX, il colosso aerospaziale di Elon Musk che alla fine del mese lancerà verso la Stazione spaziale internazionale la sua Crew Dragon, la capsula che restituirà autonomia di trasferimento alla Nasa, svincolandola dai costosi passaggi delle Soyuz russe.

a satellite is an artificial object which has been intentionally placed into orbit 
the term nanosatellite or nanosat is applied to an artificial satellite with a wet mass between 1 and 10 kg 3d render animationpinterest
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Starlink sta lanciando (per ora) centinaia di piccoli satelliti dislocati nell’orbita terrestre bassa, destinati soprattutto a distribuire l’accesso alla rete a tutto il pianeta ma non solo, anche per ricerca scientifica e militare. In realtà la costellazione è già in costruzione e nelle giornate poco coperte è anche possibile avvistare a occhio nudo il “trenino” di satelliti di Musk. L’ultimo transito sull’Italia è avvenuto proprio giovedì 14 maggio. In prospettiva dovrebbero arrivare a quota 12mila, con molta preoccupazione per esperti e astronomi che temono problemi nell’osservazione del cielo a causa di quell’onnipresente sciame oltre che interferenze radio. Al momento i satelliti sono 420, l’ultimo carico è stato lanciato alla fine dello scorso mese.

Tornando a Blackjack, invece, costituirebbe in effetti un cambiamento totale di prospettiva. Gli Stati Uniti si sono infatti sempre affidati a un ristretto numero di grossi ed efficaci satelliti militari. La rete del Pentagono, utilizzata per spionaggio, navigazione, posizionamento e comunicazioni è però tanto utile in tempi di pace quanto un bersaglio troppo grosso in clima di guerre spaziali. Uno stormo di nanosatelliti renderebbe quelle funzionalità più resilienti e in grado di abbattere i costi in caso di scontri in orbita (ne avevamo parlato qui).

I primi lanci sono in programma il prossimo anno. C’è già un nome per il test iniziale: Mandrake 1, un CubeSat che trasporterà un supercomputer. Mandrake 2, invece, consisterà in due minisatelliti in grado di scambiarsi dati e informazioni alle massime velocità possibili in quel contesto.

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Simone Cosimi

Simone Cosimi è giornalista professionista, collabora con numerose testate nazionali fra cui Esquire Italia, Italian Tech, La Repubblica, D, DLui, Wired, VanityFair.it, StartupItalia, Centodieci e Radiotelevisione Svizzera. Segue diversi ambiti fra cui tecnologia, innovazione, cultura, politica e territori di confine, spingendo verso un approccio multidisciplinare. Già redattore del mensile culturale Inside Art, per cui ha curato cataloghi d’arte e pubblicazioni come il trimestrale Sofà, ha lavorato in passato, fra gli altri, per Rockstar, DNews, Excite, Style.it e molte altre testate. Speaker, moderatore e saggista, è autore con Alberto Rossetti di "Nasci, cresci e posta. I social network sono pieni di bambini: chi li protegge?" (Città Nuova 2017) e di “Cyberbullismo" (Città Nuova 2018). A gennaio 2020 è uscito il suo terzo libro, “Per un pugno di like-Perché ai social network non piace il dissenso” (Città Nuova).   
 

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