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  • Venerdì 24 aprile 2020

Perché ci dovremmo preoccupare anche per l’Africa

E come offrire un aiuto a distanza ad alcune comunità in particolare difficoltà per il coronavirus

(AP Photo/LaPresse)
(AP Photo/LaPresse)

Il numero di casi di persone infettate da coronavirus (SARS-CoV-2) in Africa è in crescita. Sono stati registrati più di 27mila casi in totale: i due paesi più colpiti sono il Sudafrica (3.953 casi) e l’Egitto (3.891); ci sono centinaia di casi accertati anche in molti paesi dell’Africa centrale. La situazione africana è una delle più preoccupanti per l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), non solo per via della fragilità dei sistemi sanitari dei vari paesi e della generale carenza di laboratori e strumenti per fare i tamponi, ma anche per i preesistenti grandi problemi africani.

Oltre all’emergenza dovuta alla diffusione del coronavirus, infatti, in Africa bisogna tenere conto della povertà della popolazione, della diffusione di numerose malattie e dei problemi di malnutrizione, della generale instabilità economica e di altre questioni che possono facilitare il contagio, come il sovraffollamento di alcune aree e la scarsa fiducia nei confronti delle istituzioni. Per questo, nonostante finora, stando ai dati ufficiali, il virus non si sia diffuso come in altre zone del mondo, chi si occupa di cooperazione internazionale e progetti di sviluppo in Africa si sta attrezzando per far fronte all’emergenza. Ad esempio, in Kenya, ActionAid, che da più di 40 anni porta avanti progetti di adozione a distanza, ha preso alcune iniziative per sostenere le istituzioni locali per contrastare la diffusione del contagio.

Perché i paesi africani sono poco attrezzati per l’epidemia
Tra gli aspetti più critici dell’emergenza sanitaria, secondo Matshidiso Moeti, direttrice regionale dell’OMS per l’Africa, c’è la carenza di strutture ospedaliere in grado di trattare i casi più gravi di COVID-19. L’OMS ha stimato che in 43 paesi i posti letto in terapia intensiva sono circa 5mila, circa 5 per ogni milione di abitanti, una percentuale bassissima se confrontata con la media degli altri paesi del mondo.

Per quanto riguarda i test per il monitoraggio dei nuovi contagi, alcuni paesi come Kenya, Ghana e Nigeria hanno esteso la possibilità di analizzare i tamponi a nuovi laboratori e la Tanzania lo farà a breve. Tuttavia il numero dei test effettuati in tutto il continente rimane molto basso, soprattutto se confrontato con quello di altri paesi del mondo: in Sudafrica sono stati fatti 60mila test dall’inizio dell’emergenza all’11 aprile, in Nigeria e in Kenya circa 5mila. In Italia, dove il coronavirus è enormemente più diffuso ma la popolazione è numericamente simile a quella del Sudafrica, nello stesso periodo ne erano stati fatti 700mila, un numero ritenuto dall’OMS comunque troppo basso.

Alcuni esperti hanno ipotizzato che la bassa età media della popolazione africana ― le persone con più di 65 anni nel continente sono solo il 2 per cento ― possa in qualche modo bilanciare i rischi dovuti alla fragilità del sistema sanitario: i dati infatti ci dicono che sono soprattutto gli anziani che manifestano i sintomi più gravi della COVID-19 e che corrono maggiori rischi. Ma se da un lato in Africa l’età media è effettivamente molto bassa  (soprattutto nei paesi subsahariani dove si aggira attorno ai 18 anni), dall’altro la grande diffusione di malattie come l’AIDS e la tubercolosi e della malnutrizione rende alcune fasce della popolazione molto fragili e più esposte alla COVID-19.

Perché il contagio potrebbe diffondersi
Un altro aspetto importante di cui bisogna tenere conto è che l’Africa è un continente con molte zone urbane dove è particolarmente difficile far rispettare misure come l’isolamento e il mantenimento delle distanze di sicurezza. Nei quartieri più affollati e nelle baraccopoli, molte strutture come i servizi igienici sono condivise, e nelle case vivono famiglie allargate molto numerose. Inoltre in Africa ci sono circa 6 milioni di profughi e richiedenti asilo che vivono in campi provvisori dove il rischio di contagio, in caso di diffusione del virus, sarebbe molto alto.

I mezzi di trasporto pubblici comunemente usati per gli spostamenti sono spesso molto affollati e rischiano a loro volta di agevolare la diffusione del virus nelle comunità, ma per molti lavoratori sono anche l’unica soluzione per spostarsi.

L’impatto dell’epidemia sull’economia
Come nel resto del mondo, anche in Africa la diffusione dell’epidemia da coronavirus potrebbe avere un grosso impatto sull’economia. Oltre a dover tutelare la salute pubblica, i governi africani si stanno trovando a dover fare i conti con gli effetti della chiusura di alcune attività e delle restrizioni degli spostamenti. Nella maggior parte dei paesi africani sono stati chiusi i confini a metà marzo e in più della metà sono stati introdotti coprifuoco, riduzione dell’accesso ai trasporti e altre misure per contenere la diffusione del virus. La Banca Mondiale ha stimato che per le conseguenze di queste misure l’Africa subsahariana entrerà in recessione nel 2020 per la prima volta da 25 anni e che il coronavirus farà perdere alla regione dai 37 ai 79 miliardi di dollari.

In più, in alcuni paesi l’emergenza legata al coronavirus si è aggiunta a un altro problema degli ultimi mesi che già aveva danneggiato l’economia: l’invasione delle locuste, che paesi come Kenya, Somalia e Uganda hanno dovuto affrontare dall’inizio dell’anno.

Le conseguenze dei danni economici saranno probabilmente un difficile accesso a cibo e acqua — già critico in molte comunità — e la perdita di posti di lavoro. Le persone più colpite saranno quelle che vivono in condizioni di povertà ed emarginazione, in particolare gli abitanti nelle baraccopoli e i tantissimi che si guadagnano da vivere tramite lavori occasionali.

Alcuni governi stanno implementando interventi economici, ma nella maggior parte dei casi l’obiettivo è attutire l’impatto della crisi sulle piccole e medie imprese, cosa che trascura le esigenze della fascia più povera della popolazione.

Cosa sta facendo ActionAid in Kenya
Il Kenya è stato identificato dall’OMS come un paese prioritario per l’attuazione di misure di prevenzione e di risposta alla COVID-19, nonostante per il momento abbia solo 320 casi di infezione confermati: ha un sistema di assistenza debole, un’elevata densità della popolazione e frequenti spostamenti interni, che aumentano il rischio di un’ampia e rapida diffusione del coronavirus.

Secondo i dati ufficiali, solo il 62 per cento della popolazione ha accesso all’acqua pulita e solo il 31 per cento a servizi igienico-sanitari. Con queste cifre non è difficile immaginare come le più semplici e basilari misure di prevenzione, che in paesi come l’Italia sono state adottate subito da tutti per contrastare il diffondersi dell’epidemia, siano impossibili da attuare. È uno stato di cose molto preoccupante anche perché il sistema sanitario non è preparato ad affrontare l’emergenza: il numero dei posti letto è molto limitato e il rapporto tra il personale sanitario e la popolazione nelle province più remote scende fino a 1 ogni 100mila abitanti.

Secondo ActionAid un modo pratico per sostenere le istituzioni dei paesi africani nel cercare di limitare la diffusione del coronavirus è contribuire a dare alle persone informazioni corrette. La chiusura delle scuole ha infatti limitato l’accesso delle famiglie a informazioni affidabili, favorendo la diffusione di notizie false – e quindi di paure e comportamenti immotivati – che in Africa come in altre zone del mondo hanno trovato molti canali di propagazione in questo periodo, basti pensare a numerosi messaggi circolati attraverso WhatsApp.

Un sistema di diffusione delle informazioni efficace e autorevole è fondamentale per ottenere la partecipazione della popolazione alle iniziative per il contenimento del virus. Se è vero che i sintomi del virus sono gli stessi in tutto il mondo, la velocità del contagio e il suo impatto sugli ospedali possono variare in base alle caratteristiche e alle abitudini di vita quotidiana delle diverse comunità. In Africa, per ogni località si dovrebbero progettare interventi pensati per la situazione specifica e condivisi da una comunità consapevole e informata.

Per questo la diffusione di informazioni accurate sui comportamenti igienico-sanitari da tenere è uno dei punti principali del piano di ActionAid per aiutare il Kenya ad affrontare l’epidemia. L’intervento di ActionAid si concentra su due province in particolare, Isiolo e Kishushe, e ha l’obiettivo di ridurre l’impatto potenzialmente letale della diffusione del virus nelle comunità in cui opera e che conosce molto bene.

Il piano è diviso in sette punti:

  1. insieme ad altre organizzazioni attive in Kenya, ActionAid sta realizzando materiali informativi e istruttivi sulle pratiche igienico-sanitarie da adottare per prevenire il contagio che saranno diffusi tramite le radio locali e i social network, ma anche organizzando incontri di sensibilizzazione;
  2. grazie ai suoi legami con la comunità, ActionAid cerca di facilitare l’accesso tempestivo ai servizi sanitari di base, previsti dal ministero della Salute; inoltre vigilerà nelle comunità in cui è presente sulle misure di contenimento del virus adottate;
  3. ActionAid continua a partecipare al Kenya Humanitarian Partnerships Team (KHPT), un’organizzazione di associazioni e altri enti creata per collaborare in caso di emergenze;
  4. offre strumenti di sostegno psico-sociale ai membri delle comunità con cui lavora;
  5. distribuisce kit di materiale igienico e organizza il trasporto di acqua pulita tramite autocisterne alle baraccopoli;
  6. sostiene le donne e le ragazze vittime di violenza domestica e di genere;
  7. sta organizzando una distribuzione di denaro contante alle famiglie più vulnerabili per sostenerle nell’acquisto di cibo, reso più difficoltoso dalle restrizioni in vigore.

Sostenere i progetti di ActionAid, in questa situazione ancora più del solito, è un modo per contribuire allo sviluppo delle comunità africane in maggiore difficoltà. Le adozioni a distanza infatti non offrono sostegno solo ai bambini, ma anche alle loro famiglie e alle comunità in cui vivono perché sono pensate per farle crescere insieme.

Per adottare a distanza un bambino o una bambina bastano 25 euro al mese, poco più di 80 centesimi al giorno. È un piccolo grande gesto che si può fare facilmente anche online, sul sito di ActionAid dedicato all’adozione a distanza (adozioneadistanza.actionaid.it).

I progetti finanziati grazie alle donazioni nascono in risposta alle crisi umanitarie come quella legata al coronavirus, ma hanno una portata più ampia, legata alla salute, l’istruzione, l’acqua, il cibo, la lotta alla povertà e in generale i diritti dei bambini e delle donne. Quello che viene proposto ai donatori è un impegno che è pensato per avere effetto a lungo termine e per garantire continuità nello sviluppo di progetti complessi che possano avere un reale impatto sulla qualità della vita delle persone.